
Una città contro la camorra, per la legalità e l’innovazione
La lotta alla camorra come priorità amministrativa, attraverso innanzitutto la costruzione di un ambizioso piano comunale per l’infanzia. La prima sfida che dobbiamo accettare per contrastare efficacemente la camorra è quella educativa, dobbiamo rilanciare e potenziare le educative territoriali. Dobbiamo affrontare le situazioni di marginalità prendendo in carico i minori a rischio attraverso la costruzione di un’anagrafe del rischio e della povertà per fare un grande investimento sui servizi alla persona, in maniera mirata e variegata per gli utenti. La seconda sfida che dobbiamo affrontare è occupazionale, per combattere la camorra c’è bisogno di garantire un lavoro a tutti i napoletani e dobbiamo usare a questo fine anche il patrimonio pubblico e i beni confiscati. C’è poi una sfida culturale, bisogna agire sul rafforzare la cultura della legalità e la fiducia nelle istituzioni costruendo presidi in città per rafforzare reti di soggetti pubblici e privati.
Dobbiamo abbattere simbolicamente le mura dei carceri, perché quello che avviene all’interno riguarda tutta la città, affiancare le famiglie e in particolar modo i figli minori delle persone detenute.
Piano straordinario per l’infanzia, farsi carico dell’educazione dei minori
Se vogliamo interrompere la spirale di violenza e malaffare occorre investire in politiche di educazione dei minori, riempiendo i quartieri della città di servizi al cittadini in grado di prendere in carico ciascun minore in situazione di marginalità anche potenziale e realizzare servizi su misura sui suoi bisogni.
La presenza di servizi per l’infanzia è fondamentale per assicurare il benessere ai bambini e la possibilità alle donne di lavorare. Nel 2011 a Napoli c’erano solo 37 nidi, oggi sono oltre 70 i servizi pubblici tra nidi, micro nidi e settori Primavera e altri 7 sono in construzione. Il lavoro che abbiamo fatto in questi anni è stato di aumentare i nidi a gestione diretta e oggi siamo a più di 50 internalizzati. Negli ultimi 10 anni, grazie al lavoro dell’amministrazione De Magistris, abbiamo raddoppiato nidi e materne così se la media dei bambini che possono usufruire di servizi per la prima infanzia in Campania è inferiore al 3%, a Napoli siamo intorno all’8%, chiaramente ancora insufficiente. Eppure è stato compiuto uno sforzo importante per reperire i fondi perché scontiamo la norma ingiusta secondo la quale i fondi vengono allocati non in base al numero dei bambini che ne avrebbero bisogno ma in relazione alla spesa storica, consolidata oltre 15 anni fa, pertanto paradossalmente, nonostante la Campania sia la seconda regione in Italia, dopo la Lombardia, per numero di bambini è quella con meno nidi in percentuale.
Oltre alla giusta battaglia per una distribuzione diversa dei fondi a favore di una maggiore equità sociale e territoriale dobbiamo sperimentare strumenti di welfare innovativi per concentrare gli sforzi e le risorse esigue a disposizione degli enti pubblici.
Il modello di riferimento sono le “Regie di Quartiere” francesi, uno strumento di welfare di comunità introdotto agli inizi degli anni ‘80 che ha permesso di gestire una situazione molto complicata ereditata dal recente passato coloniale del Paese, che ha concentrato in alcuni arrondissement un’alta presenza di popolazione proveniente dalle ex colonie. Il piano straordinario per l’infanzia oltre reperire risorse pubbliche/private su questo tema ha lo scopo di coordinare le azioni attraverso la creazione di una struttura leggera e di prossimità, come il modello francese ci insegna. Un centrale di coordinamento situata nel quartiere che organizza i programmi e gli interventi di scuola, servizi educativi territoriali, servizi sociali e con la collaborazione dei centri per l’impiego, politiche attive per il lavoro. Questo progetto ha come obiettivo concentrare le forze, non disperdere risorse e fare in modo che nessuno sia lasciato solo.
Per facilitare questo progetto e renderlo fruibile favorendo il dialogo tra le Istituzioni, le Regie di quartiere e i presidi sanitari sarà istituita una anagrafe dei minori che consentirà di seguire e favorire il percorso scolastico, lavorativo e sanitario dei minori dalla nascita fino al raggiungimento della maggiore età.
La Napoli delle donne che parla col linguaggio delle donne
Secondo il programma di sviluppo delle Nazioni Unite l’equità di genere è un diritto fondamentale per realizzare un mondo più giusto, sostenibile e pacifico. In Italia siamo messi male: nel report sul gender gap del Word Economic Forum 2021 l’Italia è al 63° posto nella classifica della parità di genere su 156 paesi del mondo.
In un Meridione in cui la disoccupazione ha tassi che superano di 10 punti la media nazionale la Campania è tra le regioni più fragili con un tasso di disoccupazione registrato dall’Istat nel 2019 (ante Pandemia) del 20,9% a fronte del 13,1% dell’Italia. In Campania il tasso di disoccupazione è pari al 18,2% e al 25,3%, rispettivamente per uomini e donne. La provincia di Napoli, si conferma nel 2019 come l’area a più bassa incidenza di occupati, sia tra gli uomini (48,0%) che tra le donne (24,8%). La Campania, non è “a misura di bambino”, ma ancor meno “a misura di bambine” secondo l’Atlante dell’infanzia a rischio “Con gli occhi delle bambine” diffuso nel 2020 da Save the Children. In Italia, circa 1 milione e 140 mila ragazze tra i 15 e i 29 anni nel 2020 si sono trovate nella condizione di non studiare, non lavorare e non essere inserite in alcun percorso di formazione, rinunciando così ad aspirazioni e a progetti per il proprio futuro. Un limbo in cui in Campania è intrappolato il 35,8% delle giovani neet, contro il 32,9% dei coetanei maschi.
In una società ancora così impari per le donne, la Pandemia ha visto i suoi effetti nefasti abbattersi soprattutto su di loro. Le donne sono quelle che nella società meridionale ancora si sobbarcano il carico maggiore di cura della famiglia e della comunità e che durante la chiusura totale si sono occupate in modo eroico contemporaneamente degli anziani, dei malati e dei bambini che non andavano a scuola. Inoltre un dato molto triste registrato durante il lock down è l’incremento della violenza di genere e dei femminicidi.
Disparità e violenza di genere non sono più ammissibili. E’ fondamentale un impegno attivo, costante e sistematico di tutte e di tutti per creare insieme una società più giusta ed equa nella quale le donne abbiano lo stesso rispetto e le stesse opportunità degli uomini.
Credo anzi che le donne, grazie alla propensione a creare e avere cura del prossimo, dovrebbero rivestire ruoli amministrativi, imprenditoriali e dirigenziali per far crescere le città più giuste e felici ed essere le protagoniste della svolta verso un welfare generativo da realizzare nei beni comuni.
Per queste ragioni sono fondamentali una serie di azioni e servizi da mettere in campo:
- Promuovere una formazione scolastica ed extra scolastica obbligatoria per educatori e assistenti sociali sulla visione di genere della società, l’educazione sentimentale, il contrasto della violenza, del bullismo, delle discriminazioni di ogni tipo.
- Promuovere programmi specifici di formazione e inserimento lavorativo per le donne, in particolare donne madri, donne di mezza età, donne sole, vittime di violenza, trans.
- Proseguire sull’impegno per nidi e ludoteche comunali perché abbiano orari prolungati fino alle 18 e perché lo Stato riconosca che i servizi educativi sono servizi essenziali e non a domanda: questo darà ai comuni la possibilità di investire su assunzioni e qualità perché bisogna costruirne e mantenerne sempre di più.
- Realizzare progetti di welfare generativo e di comunità nei beni comuni attraverso la progettazione e la gestione partecipata con le realtà sociali femminili del territorio.
- Stabilizzare servizi essenziali antiviolenza come i CAV anche grazie a progetti sostenibili di reinserimento lavorativo.
- Moltiplicare i posti letto per donne vittime di violenza, trans.
- Promuovere a tutti i livelli: amministrazioni, aziende, pubblico e privato la cultura della parità e dell’antiviolenza.
- Sostenere con appositi bandi e start up l’imprenditoria femminile.
Acqua bene comune, dalla difesa di un bene primario alla valorizzazione
La ripubblicizzazione dell’azienda idrica in attuazione dell’esito del referendum del 2011 è una scelta politica che ha caratterizzato Napoli come amministrazione capace di prendere decisioni in maniera indipendente dai poteri economici e in osservanza di quanto deciso dai cittadini. è di tutta evidenza tuttavia che questa decisione che ha coronato un percorso di affermazione di un principio ha aperto una nuova stagione di ripensamento delle politiche pubbliche sulla gestione idrica sia a scala macro che a scala micro. Come prima azione occorre realizzare un piano industriale di ABC per pianificare investimenti e assunzioni di personale garantendo capacità di gestione ed equilibri di bilancio. Al primo punto del piano, contestualmente al rafforzamento del monitoraggio per la ricerca perdite, ci deve essere la programmazione della realizzazione della rete duale consentendo di distribuire acqua potabile separatamente dall’acqua pulita che ci consente un risparmio energetico e un risparmio idrico. Occorre poi superare l’utilizzo del cloro per disinfettare l’acqua a favore di soluzioni più ecologiche con il supporto di tecnologie non invasive. Per la stessa ragione bisogna innovare il sistema di spurgo delle pompe nelle prossimità della linea di costa eliminando così il problema non saltuario della tracimazione in mare, dovuta alla presenza di grasso che impedisce il corretto funzionamento delle pompe. Inoltre ci sono intere comunità di persone a cui oggi non viene garantito il diritto l’acqua in chiara violazione della dichiarazione europea dei diritti umani e di ulteriori convenzioni internazionali. Sono Rom, Sinti, migranti e senzatetto, intere comunità formate da bambini, donne, anziani, disabili e uomini in difficoltà sacrificati alla burocrazia che a livello nazionale e regionale impedisce a loro di avere l’accesso all’acqua. Basti pensare a che conseguenze in tempi di emergenza sanitaria e pandemia può avere questa condizione non solo sui diretti interessati ma sulla società tutta per capire l’urgenza di un provvedimento d’urgenza del sindaco per le fasce della popolazione in condizioni di povertà
Una casa per tutti i napoletani
Il Comune di Napoli ha un patrimonio immobiliare molto esteso, composto da edifici di natura residenziale, commerciale e attrezzature pubbliche con una redditività attuale e potenziale che varia in maniera significativa (alta/media/bassa). Attualmente la spese di gestione di questo patrimonio superano di gran lunga gli introiti derivanti dalla loro assegnazione, generando come conseguenza una scarsa capacità di manutenzione del patrimonio e innescando, quindi, un processo di deprezzamento e perdita di valore degli stessi. Per interrompere questo circolo vizioso occorre indagare a fondo il patrimonio e prendere scelte coraggiose. Dobbiamo innanzitutto assicurare una casa dignitosa a chi vive negli alloggi residenziali pubblici del Comune di Napoli, attraverso un intervento pubblico-privato. Dobbiamo essere disposti a cedere ad un prezzo simbolico una quota marginale del nostro patrimonio edilizio, sottoscrivendo un patto con gli abitanti per un piano di riqualificazione e ammodernamento degli immobili. I cittadini che vorranno, potranno sottoscrivere un patto con l’amministrazione e diventare proprietari della casa di cui sono assegnatari purchè si impegnino a realizzare gli interventi necessari di ristrutturazione e recupero. Il Comune di Napoli, attraverso la costituzione di un fondo ad hoc, si fa garante per l’accesso al credito dei cittadini per consentirgli di accedere a prestiti in forma agevolata a tale fine. Questa azione permetterà inoltre di accedere a diverse agevolazioni statali per le ristrutturazioni, come ad esempio l’ecobonus, non ammissibili per il patrimonio di proprietà pubblica. Il patrimonio edilizio pubblico sarà destinato inoltre alle nostre Università per studentati, aree studio ed alloggi. Napoli tornerà ad essere una immensa città universitaria per il Sud, per il resto d’Italia, per il Mediterraneo.
Sperimentare forme integrative di welfare, generativo e di comunità.
La battaglia sul welfare che ha contrassegnato l’esperienza politica dell’Amministrazione De Magistris deve trovare concretezza nei primi mesi del nuovo mandato anche grazie all’impiego in questo campo dei fondi provenienti dal PNRR. Investire sul welfare significa assumere maestre, assistenti sociali, aprire sedi dei servizi sociali sui territori e per fare questo occorre un investimento massiccio dello Stato, chiunque oggi dice il contrario o è in cattiva fede oppure non sa di cosa parla.
Il lavoro che c’è da fare sul welfare non passa solo attraverso questa sacrosanta battaglia ma attraverso una sua risignificazione. Negli ultimi anni infatti le azioni di cura collettiva a supporto delle condizioni di fragilità individuali hanno riguardato un numero crescente di attori sempre più diversi dalla istituzioni pubbliche tradizionali, con l’intervento di privati ma soprattutto di reti amicali, familiari e associazioni intermedie in un settore che non può e non riesce ad essere ad esclusivo appannaggio del pubblico.
Le diverse pratiche collaborative di welfare che la società in senso diffuso ha sperimentato in questi anni hanno due elementi molto frequenti: da un lato cercano di essere azioni generative mirando a trasformare il costo del welfare in un investimento sociale con una produttività anche economica nel medio termine; dall’altro sono azioni di comunità in quanto sono basate sulla condivisione di risorse e strumenti scarsi che messi in comune si trasformano in risorse relazionali, capaci di modificare le relazioni di un contesto sociale.
Il sostegno a questa strada che affianca, integra e dialoga con le forme più tradizionali di welfare basate sull assistenza deve essere una nostra priorità amministrativa. Favorire la nascita di queste esperienze, garantire loro la possibilità di utilizzare ai fini sociali il patrimonio pubblico, avviare percorsi di co-progettazione delle politiche sociali con questi soggetti sono alcune delle azioni che un’amministrazione pubblica può mettere in campo per migliorare il regime di welfare della città anche a parità di risorse economiche.